sabato 28 giugno 2008

Si può capire molto di una persona semplicemente guardandola negli occhi (e ascoltando di straforo conversazioni private o meno)

C'era una volta un bel ragazzo, giovane, moro, atletico. Non aveva molta voglia di studiare, quindi accettò di buon grado di lavorare nel bar di famiglia.

Il ragazzo crebbe e rilevò l'esercizio dopo la prematura dipartita del padre, assieme sua madre che però non riuscì più a riprendersi, chiudendosi in un timido mutismo.

Il ragazzo era combattuto fra due donne, l'una della quale era fortemente innamorato, l'altra che rappresentava per lui solo una passione momentanea. Un "incidente di percorso" occorso con quest'ultima fece sì che i due si sposassero, in nome della bambina che ella portava in grembo, pur non provando forti sentimenti l'uno verso l'altra.

Il ragazzo divenne infine uomo, e non fu mai più felice come era stato con la sua prima compagna. Quella ragazza così bella, che rappresentava uno dei pochissimi argomenti di cui sua madre riusciva a parlare liberamente, abbandonandosi ai ricordi.
Si concentrò totalmente sul lavoro, un lavoro però che non aveva mai veramente amato, e per il quale era anche consequenzialmente poco portato. Non riuscì mai quindi ad avere vere soddisfazioni in ambito lavorativo, non andando mai oltre al potersi concedere una vita a metà fra il mediocre e il dignitoso.
Quel lavoro che inconsciamente forse odiava era diventato ormai la sua unica valvola di sfogo alle tante frustrazioni, ma rappresentava un'enorme frustazione anch'esso, anche se cercava di non razionalizzare la cosa: cosa gli sarebbe rimasto?
Si suol dire che il posto di lavoro è per molti una seconda casa. Per quel ragazzo ormai uomo, poteva essere considerata la prima e l'unica. Tutta la sua vita si svolgeva in quel bar, che aveva ampliato e iniziato a dirigere con un socio con cui andava (molto) poco d'accordo, ma sul quale non osava imporsi: fin dalla mattina, per cui doveva sacrificare anche la colazione con la figlia e la moglie, fino alla tarda sera, non riuscendo a rincasare in tempo, forse volutamente, neanche per dare il bacio della buonanotte alla sua bambina.
Quella bambina per la quale provava un sentimento di affetto simile all'amore, ma sostanzialmente diverso: a volte, di nascosto, e provando immediatamente vergogna per i propri pensieri, le attribuiva tutta la colpa della propria infelicità. Immediatamente poi, reprimeva nel profondo quei pensieri, senza sapere che i sentimenti non possono essere semplicemente accantonati, e che le persone per cui li proviamo a volte riescono a percepirli meglio di quanto noi possiamo nasconderli. Perfino una bimba di 5 anni, che crescerà con la consapevolezza, pur non percependone in pieno il significato e incapace di chiedersene il motivo, di un amore paterno scostante e forzato.

La bellezza del ragazzo sfiorì molto rapidamente, appassendo con la perdita di quella sorta di autoconservazione che lo aveva motivato fin da piccolo: non solo non aveva motivazioni per limitarsi o avere cura di sè stesso, ma non riusciva, apaticamente e passivamente, senza accorgersene, a sentire lo stimolo di cercare dette motivazioni.

Il ragazzo, cresciuto, ingrassato, incastrato in un matrimonio che non avrebbe mai avuto la forza di chiudere, asservito ad una figlia cui a suo modo voleva bene ma che non riusciva a non vedere come il fulcro della perdita di tutte le sue possibilità, prigioniero di un lavoro che non sapeva di odiare, continua ancora oggi non a vivere, ma a sopravvivere alla propria vita, incapace e oramai demotivato a cambiare la sua condizione.

In sostanza, abbastanza romanzata, credo sia la storia del mio capo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

un uomo incastrato nel suo destino :(